giovedì 17 gennaio 2013

The Hobbit (J. R. R. Tolkien) + The Hobbit: An Unexpected Journey (Peter Jackson)

Spoiler alert!


   Un po' in ritardo dopo la visione del film, arrivo con la recensione di quello che è (giustamente? ingiustamente?) considerato come il fratello minore di Lord of the Rings, quel libriccino carino carino che Tolkien scrisse come divertissement e che risponde al titolo de Lo hobbit.
   Da dove partire? Lo hobbit è un libro per bambini, ma come in ogni caso, sarebbe riduttivo giudicarlo in quanto tale. E' senza dubbio una storia semplice, lineare e pulita, ma con delle tematiche di base esposte con tanta chiarezza da risultare archetipiche.
   Bilbo è un pacifico hobbit di campagna (non devo spiegare cos'è uno hobbit, vero?), un signorotto benestante, chiuso nel suo mondo foderato di bambagia. Un giorno una compagnia di nani più un mago capita sulla porta di casa sua, dicendogli che è appena stato scelto come "scassinatore" ufficiale nel loro viaggio verso la Montagna Solitaria (dove i nani sperano di riottenere il loro oro sottratto loro dal drago Smaug), viaggio da cui le possibilità di tornare vivo sono pari a quelle di non tornare affatto.
   Bilbo accetta suo malgrado di partire con i nani in quella che sarà una delle più classiche avventure di formazione: il suo mondo e le sue certezze vengono totalmente stravolti e Bilbo cresce ad ogni tappa del viaggio. Lo hobbit, inizialmente riluttante, cresce pian piano nel suo ruolo e diventa de facto il leader del gruppo: i nani si appoggiano a lui per ogni decisione, lo interrogano per trovare delle soluzioni che li cavino dai guai, lo mandano avanti per primo in ogni situazione pericolosa. I nani, tutto sommato, sono delle figure che sotto l'aspetto ridanciano con cui Tolkien li dipinge nascondono un sottofondo di codardia, ed è in questo che si inserisce il percorso morale di Bilbo: i nani rimangono tutto sommato uguali a loro stessi, e il loro capo Thorin scende addirittura a dei livelli infimi quando l'avidità per il suo tesoro prende il sopravvento. Thorin arriverà a capire i suoi errori, ma solo alle soglie della morte e dopo aver parzialmente dato il via a una guerra; Bilbo, d'altro canto, impara a cavarsela con il proprio buon senso e con la sua semplicità. Non si può che sorridere nel momento in cui lo hobbit recupera l'Arkengemma, tesoro supremo dei nani di Erebor, e con tutto il suo candore la consegna agli elfi, la fazione "nemica", in modo che questi la possano usare come metodo per far ragionare Thorin.
   E' un comportamento in cui si inserisce uno dei temi più cari a Tolkien, quello dell'avidità e del potere: come nel Silmarillion il costante desiderio di chi possedere i Silmarilli causa la rovina di molteplici vite e di molteplici reami, e come in Lord of the Rings il potere corruttivo dell'anello (e degli anelli) trascinava con sé l'integrità di chiunque lo desiderasse, così ne Lo hobbit è l'Arkengemma a causare la caduta di Thorin. In Tolkien sono sempre i più umili a decidere le sorti, e sono quelli che dalla loro umiltà e semplicità traggono il profitto morale più alto. Nel caso di Bilbo, un ritorno alla sua vita di tutti i giorni, ma non più rinchiuso a riccio nella sua mediocrità, bensì arricchito dalle esperienze che il mondo gli ha dato, nel bene e nel male.

   Che dire del primo film della nuova trilogia tratta dal libro? Peter Jackson ci riprova. Sputiamo subito il rospo: trarre tre film da un libro di a malapena trecento pagine è ridicolo, soprattutto se ognuno di questi film dura tre ore (perlomeno il primo, ma suppongo che sarà così anche per gli altri).
   Il primo film, sottotitolato An Unexpected Journey, soffre principalmente di questo limite, l'essere troppo lungo. I tempi sono inevitabilmente dilatati e alcune sequenze lasciano un po' l'affanno: la lunga parte iniziale ambientata a casa Baggins, l'incontro con i troll, la fuga cartoonesca dalle viscere delle Montagne Nebbiose. Uno sforbiciamento abbastanza pesante, anche arrivando a tagliare un'ora di materiale, non sarebbe stato esagerato.
   Detto questo, il film mi è piaciuto. Ho apprezzato il materiale aggiuntivo che nel libro è solo accennato, ovvero le menzioni al Negromante (che poi altri non è che Sauron), le comparse dell'ottimo Radagast, di Galadriel e di Saruman, e anche il tentativo di inserire un villain principale che sullo schermo viene incarnato dal personaggio di Azog: un cattivo più "umano" (passatemi il termine), sporco e spinto solo dalla sua natura malvagia, è un bel contrasto con l'incombente, terribile presenza di Sauron nella trilogia dell'anello, e si sposa molto bene con il tono più "semplice" del libro.
   La visione della terra di mezzo, anche qui, è molto meno lussurreggiante che nella precedente trilogia, ma anche qui c'è un senso, perché il focus del film è il viaggio dei nani e di Bilbo, e tutto il resto deve fungere da piacevole contorno.
   Diverse scene memorabili: il bellissimo prologo che mostra l'arrivo di Smaug e l'impressionante palazzo dei nani, la battaglia tra i giganti di roccia, l'arrivo a Dol Guldur di Radagast, il gioco di indovinelli tra Bilbo e un Gollum seriamente inquietante, il gran finale tra fuochi e fiamme (letteralmente) con l'epico arrivo delle aquile.
   Risultano un po' carenti purtroppo le rese dei nani che, a parte il figodiddio Thorin, i giovani Fili e Kili e il grasso Bombur, non sembrano avere delle personalità distintive, ed è un peccato dal momento che le ore a disposizione per farceli conoscere erano ben tre. Confido nei prossimi film. Ottimi invece l'adorabile Bilbo, il sempreverde Gandalf e il già citato Radagast, perfettamente ritratto come una sorta di fricchettone a stretto contatto con la natura.
    Resta solo una cosa da dire: quando arriva il resto?

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