giovedì 3 luglio 2014

American Horror Story: Coven



   Inizio una carrellata sulle serie tv terminate di recente con la terza stagione di American Horror Story, intitolata per l'occasione Coven (sì ok, non è finita proprio di recente, ma facciamo finta di sì).
   La tematica stregonesca, un cast femminile che dire mostruoso è poco (alla Lange, a Frances Conroy e alle adorabili Sarah Paulson e Lily Rabe si sono unite Kathy Bates, Angela Basset, Patty LuPone e Gabourey Sidibe, con un paio di apparizioni speciali della favolosa Stevie Nicks), l'ambientazione a New Orleans, l'intreccio con personaggi ed eventi storici... Tutto faceva presagire una stagione bomba, eppure Murphy e Falchuk sono riusciti a partorire la stagione delle delusioni. Tutto, in Coven, è un'occasione sprecata: dai personaggi, al setting, alle storyline.
   Personalità sulla carta interessanti come i personaggi di Lily Rabe (a cui viene riservata una fine ingloriosa) o di Jamie Brewer (che ritorna dalla prima stagione, in cui interpretava Addy) vengono sprecati senza se e senza ma; la storyline di Taissa Farmiga ed Evan Peters, novelli Giulietta e Romeo, dopo un'inizio intrigante viene svuotata di ogni contenuto, così come il potere "eccentrico" (leggasi 'vagina killer') della Farmiga, che dopo un paio di puntate non viene più nominato. La città di New Orleans, con il suo folklore unico, e le calde paludi della Louisiana, perfetto teatro di sabba e rituali stregoneschi, vengono relegate sullo sfondo. In effetti, ciò che manca a questa stagione sulle streghe è proprio la stregoneria: i poteri delle protagoniste sono innati e personalizzati, quasi si trattasse di personaggi usciti da X-men. C'è poca atmosfera, poca magia, poco orrore.
    A livello di trama, la confusione regna sovrana. Troppa gente che muore e resuscita, troppi cambiamenti di personalità nel giro di una sola puntata, troppo sentore che manchi una pianificazione studiata della stagione. Il finale offre una risoluzione tutto sommato soddisfacente, seppur priva di scossoni, con il personaggio più bistrattato che monta alla ribalta. Quello che mi ha disturbato del finale, tuttavia, è stata poi l'ambiguità morale sui personaggi di Zoe (Farmiga) e Queenie (Sidibe). Come tutte le altre ragazze, sono state ritratte in modo piuttosto oscuro verso la fine della stagione; eppure, il finale le vede dipinte come eroine, senza un percorso logico che le 'redima' caratterialmente. Avrei preferito che la visione di Cordelia (Paulson) della congrega sterminata si rivelasse veritiera: sarebbe stata molto più coerente con i comportamenti delle protagoniste, e non avrebbe lasciato la sensazione di un finale felice a tutti i costi.
   Tutto questo significa che la stagione è da buttare? No, significa che è una grossissima occasione persa. Eppure, i momenti che mi fanno amare la serie ci sono stati, e sono stati numerosi: per prima cosa le invenzioni visive a cui American Horror Story ci ha abituato, e qui parlo soprattutto del meraviglioso filmato stile film muto in cui vengono mostrate le seven wonders che una strega deve compiere per rivelarsi la Suprema, o i momenti musicali con Stevie Nicks che riprendono in chiave più leggera quello della Lange nella scorsa stagione; c'è stata una dose d'ironia molto maggiore, che molti non hanno apprezzato ma che io ho trovato coerente con la stagione; c'è stata una Angela Basset nei panni della più meravigliosa nera incazzata vista in tv negli ultimi tempi; ci sono state delle scene di violenza e di gore che mi hanno fatto letteralmente saltare sulla sedia (il massacro al salone di Marie Laveau e il massacro dei cacciatori di streghe), e che avrei voluto fossero molto più abbondanti. Molto bello e soddisfacente il confronto finale tra il personaggio della Lange e quello della Paulson, perfetta conclusione per il rapporto malato che correva tra le due e che poteva concludersi solo con la dipartita dell'una o dell'altra.
   La stagione è nel complesso una sufficienza tirata. Il classico ha le potenzialità ma non si impegna. Resta solo da vedere se la serie andrà completamente in vacca, com'è tradizione per gli show firmati Ryan Murphy, o se riuscirà a rimettersi in carreggiata visto la mole di materiale orrorifico praticamente infinita da cui si può attingere.