martedì 16 aprile 2013

The Lord of the Rings

   Avrebbe dovuto accadere prima o poi. Un post su Lord of the Rings. Come fare a parlarne senza risultare banale o ripetere cose già dette e ridette da fior fior di critica letteraria? Semplice, non farò una recensione. Mi limiterò a raccontare la storia del mio amore per questo libro, forse il modo più onesto per omaggiarlo.
   Erano i tardi anni novanta, e io ero un giovane studente delle medie in un tempo in cui il termine nerd era ancora pressoché sconosciuto in Italia. Se l'avessi conosciuto non avrei esitato ad appiopparmelo. Dungeons & Dragons, Magic, libri-game, tutto ciò che faceva fantasy era mio. E un giorno, un mio compagno di scuola mi raccontò di aver scoperto nella libreria di suo fratello maggiore un volumone enorme, chiamato Il signore degli anelli, e di averlo iniziato a leggere: c'erano elfi, hobbit, nani, e tutti vivevano in questo mondo fantastico in cui gli alberi si muovevano e i protagonisti rimanevano intrappolati nel tumulo di uno spettro vecchio di ere intere.
   Dopo aver scoperto che anche la mia professoressa di italiano lo adorava (!), andai nella piccola biblioteca del mio paese e lo presi in prestito. La lettura fu un'esperienza che mi cambiò la vita: due settimane passate immerso totalmente nella Terra di Mezzo, a bocca aperta e con gli occhioni spalancati per la meraviglia di avere di fronte i mondi immaginari che il fantasy becero dei giochi di ruolo mi aveva sempre regalato, ma con qualcosa in più. La storia. C'era qualcosa sotto, che mi attirava, ma la mia giovane età non mi permetteva di capirlo consciamente. Fu così che una manciata di anni dopo arrivò la trilogia cinematografica, e l'amore venne rinnovato. Il mio libro preferito, portato sul grande schermo nella maniera più perfetta che si potesse immaginare. E quei film imponenti, maestosi, mi avvicinarono un po' di più a capire cosa amassi così tanto in Lord of the Rings.
   Il fantasy salì alla ribalta del mainstream, e io mi allontanai piano piano dalle varie Shannare e dai vari D& D, perché ormai volevo qualcosa di più pregno, qualcosa che saziasse la mia fame di letteratura fantastica. Nel frattempo fu il turno del Silmarillion, dello Hobbit, letture che troppo a lungo avevo rimandato, e finalmente capii: Tolkien aveva scritto un racconto filosofico. L'avventura della Compagnia dell'Anello è infarcita di simbolismi, figure archetipiche e tematiche che riflettono come uno specchio la personale visione del mondo di Tolkien. Paradossalmente, il suo amore per la letteratura anglosassone, ampiamente pagana, è stato lo strumento perfetto per esprimere i valori fortemente cattolici che egli ha riversato nella sua storia. La filologia germanica, le fiabe, la mitologia nordica (soprattutto norrena e finnica), il Beowulf, il Kalevala, sono solo alcune delle fonti che Tolkien ha fatto sue - con assoluto rispetto - per portare sulla pagina i temi a lui più cari: la tentazione del potere, a cui ci si può opporre solo con un animo umile e semplice, scevro dall'avidità e dalle manie di grandezza; il destino e il libero arbitrio; la speranza, a cui fa da corollario un'ampia gamma di eventi in cui interviene quella che può benissimo essere chiamata Divina Provvidenza; ma soprattutto un tema vecchio come il mondo, ossia la lotta tra il Bene e il Male. In Tolkien non ci sono sfumature di grigio. I valori morali sono ben definiti, e le azioni dei personaggi riflettono l'oscillazione della loro anima verso un polo o verso l'altro. Luce e Ombra: sono queste le due forze che fin dall'inizio dei giorni nell'universo Tolkeniano determinano la storia del mondo (aspetto esplorato pienamente nel Silmarillion). Non solo: Luce e Ombra sono due concetti talmente fisici che si riflettono fisicamente nel mondo attraverso la bellezza o la bruttezza. Non è un concetto banale, perché nell'economia del mondo di Tolkien tutto ciò è perfettamente plausibile: gli esseri più nobili conservano fisicamente in loro residui della Luce di Aman, il reame al di là del mare, e ciò si riflette sul loro aspetto immacolato e "divino". L'Ombra invece corrompe, degrada, distorce tutto ciò che prima era bello e puro. Non è un caso che gli Orchi siano tutti malvagi e fisicamente brutti: non si tratta di discorsi razziali, come diversi critici hanno sostenuto, ma si tratta semplicemente del fatto che sono creature create dalla personificazione fisica del male (il Morgoth dei giorni antichi, e in seguito Sauron), e in quanto tali altro non possono essere che esseri miserabili e corrotti.
   La perdita graduale della Luce e della bellezza è un tema che determina profondamente l'atmosfera del libro: gli Elfi, guardiani dell'equilibrio naturale e custodi di tutto ciò che cresce ed è vitale, stanno abbandonando la Terra di Mezzo; gli antichi re sono ormai un ricordo, e i loro discendenti conservano solo un'eco della gloria di un tempo; la vittoria contro l'Ombra non verrà senza prezzo, perché determina la fine della magia elfica nella Terra di Mezzo e l'inizio di un'era in cui la bellezza dei giorni passati si fa ancora più rarefatta.
   Ma non ci si deve lasciare ingannare da tutti questi significati sottintesi o meno. Tolkien disapprovava apertamente dell'allegoria, quando creata consciamente dall'autore, e il suo libro va preso soprattutto per quello che è: una storia travolgente, un atto d'amore verso le sue passioni, il suo lavoro e la sua terra, un'opera immensa in cui si scorgono tutti i dettagli di un mondo talmente intricato la cui creazione rimarrà un atto irripetuto e irripetibile.

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