venerdì 27 dicembre 2013

The Mists of Avalon (Marion Zimmer Bradley)

   The Mists of Avalon (Le nebbie di Avalon), della compianta Marion Zimmer Bradley, è stato pubblicato nel 1983. Esattamente dieci anni dopo ha visto la luce un prequel, The Forest House, scritto in collaborazione con Diana L. Paxson perché la salute della Zimmer Bradley si andava ormai deteriorando. The Forest House segnò l'effettiva nascita del ciclo di Avalon, una serie formata esclusivamente da prequel del romanzo originale, e continuata, dopo la morte di Marion, dalle sole mani della Paxson.
   The Mists of Avalon è una rivisitazione del ciclo arturiano, operazione attuata già un'infinità di volte all'epoca della pubblicazione del romanzo (molto successo avevano avuto The Once and Future King di T. H. White - da cui venne tratto il famoso La spada nella roccia della Disney - e la serie iniziata da Mary Stuart con The Crystal Cave). La Zimmer Bradley stessa era al corrente del fatto che l'idea alla base del romanzo non fosse esattamente originale. L'elemento assolutamente rivoluzionario dell'opera fu la scelta di rinarrare gli eventi ben noti esclusivamente dal punto di vista dei personaggi femminili: sono quindi praticamente assenti le battaglie e le avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda, come i grandi spazi aperti delle foreste e della campagna britannica in cui esse si consumano. Abbiamo invece gli ambienti chiusi dei castelli e delle stanze in cui le donne passano il tempo a filare, i focolari e le sale da banchetto.
   Sono diverse le donne a cui la Zimmer Bradley affida i vari punti di vista: Ginevra (Gwenhwyfar), Viviane, Igraine, Morgause, Elaine, Nimue, Niniane... e Morgaine. E' a quest'ultima - la Morgana nota come una temibile fattucchiera, per la quale l'autrice adotta uno spelling più arcaico - che è affidato il compito di narrare la parabola dell'ascesa e della caduta di Camelot. A questo punto, è doveroso aprire una parentesi: al tempo della scrittura del romanzo la Zimmer Bradley aveva abbracciato il neopaganesimo. Nel libro si trovano palesi riferimenti alla wicca gardneriana, ai lavori di Margaret Murray, a Il ramo d'oro di Frazer. Attorno a tutto ciò l'autrice costruisce una mitologia fittizia imperniata sulla Dea (e, in tono minore, sul Dio) di stampo del tutto wiccan. L'Avalon del romanzo è il principale centro di culto della Dea, la cui venerazione è messa in pericolo dall'avanzata inarrestabile del cristianesimo. La Morgaine protagonista del romanzo rende sua unica ragione di vita il preservare l'antico culto dal bigottismo irrazionale dei preti: sacerdotessa di Avalon, Morgaine diventerà la Dama del Lago dopo la morte della sua tutrice, Viviane (nel ciclo di Avalon quello di Dama del Lago è un titolo, come anche quello di Merlino, motivo per cui vengono designati più personaggi in tal modo).
   E' con Morgaine che la Zimmer Bradley espleta lo scopo ultimo del suo romanzo: dare voce all'oppressione femminile portata avanti dal cristianesimo, il tutto presentando in una luce completamente nuova una figura che, tradizionalmente, è sempre stata mostrata come un personaggio semplicemente malvagio, senza però una vera ragione di esserlo. Morgaine, nella sua disperata crociata per non far soccombere il paganesimo, si macchia effettivamente degli atti di cui la tradizione la accusa - complotta contro Arthur/Artù, si immischia negli affari personali di Gwenhwyfar e Lancelet pur sapendo di far soffrire delle persone, commette indirettamente omicidio - ma si tratta di azioni ampiamente motivate da una personalità forte e da un obiettivo ben saldo nella sua mente. Non abbiamo quindi la solita maliarda fatale e seduttrice, ma una donna a tutto tondo, esplorata con maestria in un ritratto psicologico invidiabile: Morgaine è passionale e appassionata, sofferente nel suo amore mai corrisposto verso Lancelet; ma è al contempo distante, forse anche fredda, misteriosa e manipolatrice... o perlomeno è così che la vedono i personaggi che non sanno vedere in lei i vari aspetti della Dea. L'autrice ci fa soffrire con lei, ci fa esultare per la sua causa, ci travolge nell'onda degli eventi di un'intera generazione osservati dagli occhi imperscrutabili di Morgaine.
   I ritratti psicologici delle donne protagoniste non si esauriscono certo con quello di Morgaine: personaggio polare a lei è quello di Gwenhwyfar, una Ginevra strappata tra l'amore per Lancelet e la devozione ad Arthur (anche per lei, come per diversi altri personaggi, l'autrice usa per il nome spelling meno noti). Gwenhwyfar è tutto ciò che Morgaine non è: debole, insicura, agorafobica, intimorita dalla sua stessa ombra. La sua personalità pavida la fa rifugiare sempre più tra le braccia consolatorie del cristianesimo, portandola molto vicina al fanatismo. E' soprattutto l'influenza di Gwenhwyfar su Arthur a mandare a monte il lavoro di Morgaine, motivo per cui il rapporto tra le due è costantemente in bilico tra l'odio e l'affetto. E' proprio la descrizione del loro rapporto uno degli aspetti che ho maggiormente apprezzato nel raccontare i personaggi: donne assolutamente antitetiche, Morgaine e Gwenhwyfar hanno ogni ragione di odiarsi; eppure, in quella solidarietà femminile che la Zimmer Bradley descrive molto bene, sanno essere vicine l'un l'altra, e anche quando vengono separate per sempre dall'inimicizia, l'affetto si affaccia sempre nei loro pensieri.
   Ci sarebbe molto da dire sulle donne del romanzo, ma basti sapere che ognuna di esse si ritaglia una parte memorabile: Igraine, protagonista in balia del destino di una buona prima parte del libro; Morgause, arrivista, calcolatrice, ma ugualmente raffigurata a tutto tondo come capace d'affetto sincero e spassionato; Viviane, una personalità di ferro che porta sulle sue spalle il peso del titolo di Dama del Lago; Nimue, al centro di un brevissimo ma struggente capitolo su un amore destinato alla tragedia...
   In tutto ciò gli uomini sembrano quasi relegati sullo sfondo, assieme alle vicende che li vedono protagonisti. Spiccano, attraverso gli occhi delle donne, solo due di essi: Arthur, ovviamente, un re buono e preoccupato della felicità di ogni suo suddito, e un tormentato Lancelet, descritto velatamente come bisessuale e diviso tra l'amore per Arthur e quello per Gwenhwyfar (il triangolo che si instaura tra i tre è un vero e proprio inferno amoroso che li tormenta per tutta la vita). Bellissimo e contrastato anche il rapporto tra Arthur e la sorella Morgaine: affrontano una parabola discendente che li vede cadere nell'odio reciproco, ma continuano ad essere avvinti da un legame indissolubile d'amore eterno; molti lo vedono come peccaminoso, ma si tratta invece, forse, del più puro in assoluto.
   Chi si avvicina alla lettura sperando di trovare azione ed epica si sbaglia: Mists è un romanzo lungo, che si snoda lentamente come un fiume; è tutto giocato sugli sguardi, le emozioni, le parole, i drammi personali. Ho sentito molti usare l'abusatissima parola noioso per descriverlo, ma credetemi, chi lo giudica tale semplicemente non ha la sensibilità adatta ad affrontare un romanzo del genere.

   Vorrei chiudere questa carrellata di pensieri parlando dell'elemento religioso del romanzo: da tempo ho sviluppato un'avversione viscerale per tutto ciò che si rifaccia alla wicca o al neopaganesimo, spacciando per verità storica certi deliri privi di fondamento. The Mists of Avalon ha invece il grandissimo pregio di essere stato scritto da una donna profondamente immersa nella propria spiritualità: la Zimmer Bradley, in una fase più tarda della sua vita, ritornò al cristianesimo, ma Mists è una testimonianza di quanto vividamente avesse vissuto quel periodo femminista-neopagano. Il libro è intessuto di archetipi pagani sinceri, e dà un ritratto fedele dell'oscuro e misterioso ciclo di vita-morte-rinascita che sta alla base dei culti di fertilità di cui ancora oggi rimane traccia nel folclore (e a cui rimando, appunto, alla lettura de Il ramo d'oro di James Frazer). Insomma, alla fine del romanzo non si può non rimanere con l'amaro in bocca - nonostante l'epilogo in qualche modo consolatorio - di fronte alla marea cristiana che finisce per invadere la Gran Bretagna occultando tutta l'antica sapienza. In ultimo, tutto ciò che rimane della vecchia religione pagana, come anche della corte di Camelot, sono solo delle memorie lontane nel tempo, vaghe come le ombre che traspaiono dalle nebbie che avvolgono Avalon...

   Piccola nota sulla traduzione italiana: è molto buona, ma la versione della Tea che io ho letto elimina inspiegabilmente alcune parti del romanzo. Andando a memoria non si tratta di molto materiale, ma di passaggi comunque succosi come parte del bellissimo prologo, la storia della Pentecoste, una canzone cantata da Lancelet e un dialogo di Taliesin sulla natura del Dio e della Dea.

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